La terribile pandemia che ha imperversato nell’ultimo anno, come sempre avviene in occasione di una calamità, ha messo a nudo spietatamente alcune criticità.
«L’ Espresso» del 2 agosto, in un articolo sull’emergenza istruzione, riporta alcuni dati allarmanti relativi al nostro paese: solo il 20% degli studenti sono riusciti a seguire le lezioni online, sono più di un milione i bambini che vivono in condizioni di povertà assoluta e oltre il 60% dei genitori ritiene che i fìgli, fìnita la pandemia, avranno sicuramente bisogno di un “intervento straordinario”. I tre dati sono evidentemente legati fra loro.
Il quadro è preoccupante, ma la pandemia non ha creato nulla di nuovo, ha solo alzato il coperchio su problematiche che hanno radici lontane e che questa crisi ha ingigantito.
Nel nostro paese ci sono vaste aree definite “a rischio”, si tratta delle periferie deprivate, dei quartieri urbani degradati, aree di povertà a volte assoluta o (ma spesso i fenomeni coincidono) di devianza; sono ampie zone del paese che camminano con una marcia in meno o nella direzione sbagliata.
A fare le spese di queste situazioni sono quasi sempre i ragazzi, perché, si sa, i soggetti ancora in fase di sviluppo e di formazione sono i più instabili, fragili nelle motivazioni, predisposti all’imitazione del gruppo sociale di appartenenza, soprattutto dei coetanei (anche quando non si tratta di gruppo ma di branco), facili candidati a “perdersi”.
Per molti di questi ragazzi la scuola rappresenta l’unica esperienza altra, il collante che può tenerli uniti con un’offerta più forte e positiva di quelle che il territorio propone. Da sempre l’abbandono e le statistiche della dispersione scolastica testimoniano un’inadeguatezza di strumenti o di offerta, e segnano una sconfitta della scuola. Quella scuola che il dettato costituzionale vuole inclusiva ed egualitaria e che troppo spesso non è stata dotata di risorse efficaci per assolvere il suo compito. Inutile sottolineare che in questi contesti ogni evento negativo produce effetti più forti e duraturi che altrove.
La pandemia e il periodo di lockdown, lunghissimi rispetto ai tempi di bambini e ragazzi, hanno creato disorientamento negli studenti, a cui è stato sottratto l’aspetto più importante dell’apprendimento a scuola: lo stare insieme, il confrontarsi, l’imparare dai libri, dai docenti ma soprattutto dal dialogo, esplicito o silenzioso, del gruppo. E quei ragazzi che già prima della pandemia erano inadempienti e apprendevano poco e male, con la didattica a distanza sono spariti anche dall’aula virtuale.
Nel contempo c’è un’altra Italia, quella con una marcia in più, in cui si sta ampliando il fenomeno dell’homeschooling, l’istruzione in casa condotta da genitori e tutor. La scelta coinvolge quelle famiglie scontente da sempre del sistema scuola e che l’emergenza Covid sta facendo aumentare sempre più. Ma anche per questi bambini più fortunati, al centro di attenzione e di cure non è un privilegio ma una perdita essere sottratti alla molteplicità e alla diversità di conoscenze, di stimoli culturali e umani che solo il contesto della scuola può offrire.
Per far apparire la scuola un luogo migliore.
Fonte: Il Pepeverde, n.8 2020