Sulla promozione della lettura sono state dette tante cose. Qui l’Autrice fa il punto riportando le varie posizioni, sintetizzandole in un concetto: le buone storie “lavorano dentro”, entrano nella persona, l’aiutano ad affrontare il mondo e la vita. A una condizione: che i libri siano buona letteratura. E non è difficile distinguerli. Le buone storie sono quelle che….
L’ empatia è considerata ormai a diversi livelli un’abilità sociale fondamentale. David Goleman, tra i massimi esperti di intelligenza emotiva, lo sostiene da sempre e spesso nei suoi discorsi e nei suoi scritti afferma che leggere narrativa rende empatici, insegna a riconoscere e vivere le emozioni, mette «nelle scarpe degli altri». Partendo da queste affermazioni, non è sbagliato, quindi, considerare la lettura come educazione alle emozioni e pensare che, quando si promuove la lettura, si fa anche educazione emotiva. Le storie, infatti, come sostiene anche Jonathan Gottschall, parlano di emozioni da molto più a lungo che gli psicologi e lo fanno con strumenti propri. La lettura risulta, allora, quasi per definizione «allenamento alle emozioni».

Leggere significa entrare in una storia, diventarne partecipi, vivere le situazioni dei personaggi e provare ciò che essi provano. Leggere significa, però, anche avere una posizione privilegiata di osservazione: essere allo stesso tempo dentro e fuori la storia e poter vedere ciò che succede con il distacco che permette la parola scritta, oltre il coinvolgimento diretto cui obbliga la vita reale. Leggendo, poi, si possono assumere i vari punti di vista sulle questioni.
Si può dire che la lettura è palestra di emozioni perché leggendo si sperimenta ciò che potrebbe essere reale e si possono approvare le reazioni dei personaggi, si può dissentire, si può immedesimarsi. Spesso capita di trovarsi in una situazione e ricordare una storia che descrive una circostanza simile, oppure, viceversa, si riconoscono nelle storie momenti della propria vita vissuta.
Questo perché le storie “lavorano dentro”, entrano nel bagaglio con cui il lettore affronta il mondo e sono pronte a emergere quando è il momento giusto, fornendo quell’esperienza indiretta che aiuta. Attraverso le storie si riescono a capire delle cose anche a distanza di tempo, quando il “letto” in un dato momento, riflette il “vissuto” tempo dopo, o viceversa.
Si tratta del potere che ha la lettura profonda che i bambini e i ragazzi possono imparare per diventare partecipi di ciò che leggono, arrivando ad andare spontaneamente alla ricerca dei significati per poi sviluppare quasi automaticamente competenze utili a capire gli altri esseri umani e le loro reazioni, senza diventare vittime di pratiche di lettura didascaliche e moralizzanti. La lettura di buona letteratura, di buoni libri di narrativa rende empatici. Non certo la lettura di storie create apposta per indagare un’emozione piuttosto di un’altra. Le buone storie sono quelle che non pretendono di trasmettere o insegnare valori, ma aiutano a pensarli. Le buone storie più che parlare di emozioni permettono di viverle.
Le buone storie non sono scontate, prevedibili e chiuse, ma aprono al pensiero. Sono storie che raccontano una vicenda in modo incompleto e inatteso e che, proprio per questo, obbligano il lettore a immaginare quello che il testo non dice e a dare un senso alla narrazione, soprattutto al comportamento dei personaggi, attingendo al proprio vissuto, integrando lettura e vita. Sono storie che spingono chi legge a interrogarsi sugli stati mentali interni dei personaggi, a fantasticare su cosa avrebbero potuto fare di diverso da quello che lo scrittore ha deciso, a «essere creativi».

Le cattive storie, quelle “costruite” a tema e su commissione, quelle che mancano di ispirazione e originalità, si capiscono subito e si dimenticano presto. Le buone storie, invece, colpiscono anche se non si sa subito bene perché, creano domande e dubbi, non danno conferme, non nell’immediato almeno, ma riemergono e si comprendono nel tempo e per apprezzarle veramente è necessaria una lettura attenta e profonda, diversa dalla lettura superficiale cui si tende ai giorni nostri.
Maryanne Wolf dedica un intero capitolo all’analisi della lettura profonda e dei pericoli che la stanno minacciando. La lettura profonda, infatti, ha bisogno di tempi lunghi, di quella latenza che, purtroppo nel mondo in cui viviamo, è proibita. Il nostro è il tempo del tutto subito, mentre molte cose, in generale e in educazione in particolare, hanno bisogno di latenza e la latenza si costruisce sapendo che ognuno ha i propri tempi, che vanno rispettati. Lettura profonda e latenza vanno educate perché i ragazzi diventino veri lettori. Come riassume perfettamente Beniamino Sidoti nell’introduzione al suo libro, con la buona narrativa, ma anche con i buoni albi illustrati, si rivendica, «alla scrittura, alla lettura, un lavoro che troppo spesso deleghiamo alla psicologia, alla filosofia o alla psicoterapia.
Le storie e le poesie sono da sempre il modo principe con cui affrontiamo, conosciamo, scopriamo e addomestichiamo emozioni e sentimenti: lo facciamo spontaneamente, senza saperlo, e lo facciamo perché in ciò che leggiamo ci ritroviamo: e ritrovandoci sappiamo fare un passo avanti, o un passo indietro. Sappiamo ballare con le parole, e impariamo a viverle, senza restarne assordati».
Proporre letture e fare educazione alla lettura in quest’ottica, quindi, presuppone un modo diverso di mettersi di fronte alle storie e ai bambini e ragazzi. La lettura gratuita, quella che si fa per piacere, non finalizzata all’educazione linguistica o ad altro scopo didattico, non può essere imposta, ma suggerita nella libertà più ampia possibile di scelta e di modalità, trovando insieme storie adatte e alternando pratiche diverse: ad alta voce, silenziosa, autonoma e collettiva. La pratica della lettura come “piacere”, inoltre, si autoalimenta con l’insieme delle esperienze emozionali positive che offre al lettore e diventa insieme appagamento e conoscenza.
Non si può, però, fare “esperienza” di piacere della lettura e di emozioni, che ad ogni età, ma soprattutto in adolescenza, costituiscono un aspetto molto personale e di cui è difficile parlare, se c’è l’obbligo di comunicare a tutti ciò che si prova, i pensieri personali, gli stati d’animo, ciò che, insomma, a volte si confida agli amici più intimi, quasi mai a genitori e insegnanti, a volte a un diario, e forse oggi più facilmente a un post su un social. È dunque a questo punto che interviene la capacità dell’adulto facilitatore nel trovare modi per portare a galla pensieri e riflessioni cercando di rispettare l’intimità di ciascuno. La lettura come luogo dove allenare le emozioni si realizza, quindi, quando attraverso un buon libro si può parlare di emozioni in relazione alla storia letta, commentando la lettura, osservando i personaggi e i loro atteggiamenti e le loro situazioni, senza essere obbligati, se non si vuole, a mettere a nudo il proprio vissuto personale. Si può anche tacere, lasciando che le parole lette “lavorino dentro”.
La lettura è un attività individuale, ma non solitaria. È vero che quando si legge si è da soli, ma la lettura è un’attività così coinvolgente che apre verso gli altri e fa nascere il bisogno di condividere.
Fondamentale diventa, allora, il dopo lettura con attività creative o di libera discussione che, seppur discretamente alimentata e guidata dall’animatore, nasce spontaneamente e si alimenta attraverso l’apporto di tutti grazie a considerazioni e a domande aperte che spingono a riflettere. In quest’ottica il dopo-lettura implica anche dei momenti di silenzio di decantazione. Si tratta praticamente di fare ciò che si fa nei gruppi di lettura dove c’è libera condivisione e tutti hanno lo stesso diritto di parlare o di tacere, di dire ciò che pensano senza timore di essere giudicati.
Un percorso di promozione alla lettura come educazione emotiva condotto secondo queste modalità aumenta notevolmente di valore, di impatto, di ricaduta, di successo se viene costruito pian piano e mantenuto nel tempo e se chi propone le letture è lettore a sua volta, conosce ciò che suggerisce e si mette in gioco condividendo pensieri e riflessioni, accettando anche i suggerimenti di lettura da parte dei ragazzi.
Promuovere così la lettura non è facile, ma se ci si crede, può portare a risultati molto soddisfacenti.
Fonte: Il Pepeverde, n.4 2019